top of page

Luigi Antonini nel ricordo di Filippo De Marchis

Qualche difficoltà subito da confessare.

Luigi Antonini é stato degnamente ricordato dal nostro Arcivescovo al termine della liturgia dei defunti, che la Chiesa celebra con parole di speranza; da Romolo Dominici al Rotary Club,di cui Luigi fu Presidente nel 1973-1974; da Don Agostino Rossi durante la cerimonia religiosa del 21 settembre ed infine dal Sindaco di Spoleto e da Giovanni Antonelli, per la commemorazione ufficiale che le autorità comunali hanno voluto riservare a colui che era stato insignito, nel 1971, del titolo di cittadino onorario.

Già questi precedenti rendono più arduo, oggi, il compito che il Presidente e il Consiglio Direttivo dell’Associazione Amici di Spoleto hanno benevolmente delegato a me, ritenuto, insieme con Dominici e Antonelli, un altro della “Vecchia Guardia” che ha seguito Luigi Antonini nella campagna da lui combattuta per Spoleto, con la fedeltà ultratrentennale propria di chi ha avuto sempre e solo Spoleto nel cuore.

Ma non é tutto qui.

Egli - al cui titolo di ingegnere, conseguito a Roma nel 1921, devono intendersi sottesi non solo la competenza propria di questa professione creativa, ma anche e soprattutto l’ingegno e cioè la somma felice delle qualità dello spirito atte a giudicare uomini e cose con prontezza e perspicacia - era da un lato estremamente schivo e dall’altro dotato di una inimmaginabile capacità di agire.

Perciò, chiunque si accinga, non senza trepidazione, a ricordare la sua persona e la sua opera, avverte come travolgere la linea della sua modestia ovvero abbracciare una lunga vita di lavoro, prima, e dopo di servizio disinteressato e gratuito e da ultimo di generosità senza limiti - e tutto dentro la breve parentesi della nostra assemblea nutrita di argomenti - finisca con l’apparire un’impresa al cui animo e compito mancherà sempre qualcosa.

Animo e compito che non sono mai mancati al nostro caro Luigi, fin da quando egli, fanciullo, cominciò a frequentare la splendida dimora agreste acquistata dal padre Umberto nel 1891 sul colle dei Cappuccini.

L’esperienza insegna - e il destino di Luigi conferma - che, in quegli anni sereni, i colori e i rilievi dei luoghi restano incisi in modo indelebile nell’animo dell’adolescente, e suscitano, come attraverso strati di una misteriosa geologia di memorie e di affetti, un richiamo irresistibile.

Così Luigi Antonini - che nel 1956 aveva concluso la sua carriera professionale al vertice di una grande industria romana, dopo forti esperienze di lavoro con la tedesca AEG prima in Germania fino al 1925 e poi a Milano fino al 1929 - riapprodó a Spoleto, nella casa - svettante tra il verde di piante ormai secolari - cominciò allora ad accendersi - materialmente - un faro che doveva diventare per gli spoletini il segno di una presenza che si sarebbe fatta via via più familiare e desiderata.

Ma il punto di arrivo non divenne per Luigi anche luogo di riposo, perché il caso nascondeva circostanze che avrebbero inciso profondamente sul futuro di noi tutti.

Infatti il terreno del sagrato - meta di turisti e di fedeli - della chiesa dei Padri Cappuccini minacciava di franare, e l’Ing. Antonini - abituato a prendere le cose per tempo e per il giusto verso - segnalò il fatto a Romolo Dominici, Presidente dell’Azienda Turismo.

Seguirono, in tempi brevissimi, un sopralluogo con i tecnici del Comune, il lavoro necessario e l’accollo di un terzo della spesa da parte di Luigi: un gesto, questo, che lasciò di stucco coloro che si erano interessati ad una vicenda solo apparentemente di routine.

Si può dire che questo fu il primo colpo di bacchetta - e mai bacchetta di direttore concertatore fu impugnata con maggiore autorità e letizia - di un’opera più vasta ed impegnativa in favore della città alla quale Luigi Antonini avrebbe finito col dedicare, provvidenzialmente quasi un terzo della sua esistenza.

L’opera era appena alle sue prime battute, ma richiedeva uno studio preparatorio e un piano sistematico e l’autore ne cercò acutamente le linee di sviluppo e di interazione dandosi a valutare e conoscere a fondo, con prudenza e sagacia, le potenzialità della nostra Spoleto, gli uomini che vi ricoprivano ruoli di responsabilità, il gioco delle forze economiche, politiche e sociali e la chiave dei loro equilibri.

Così, egli poteva, in breve tempo, istituire, nel 1960, l’Associazione Amici di Spoleto; iniziare, nel 1961, il suo prezioso mandato di Consigliere dell’.Azienda Turismo; fondare, nel 1962, insieme con Giuseppe Ermini (Rettore dell’Università di Perugia e Presidente del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo) e con Giovanni Polvani (Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche), l’Ente Rocca, e sempre nel 1962 dar vita, con Giancarlo Menotti, alla Fondazione Festival dei Due Mondi. Istituzioni tutte di cui Luigi Antonini sarà l’animatore più entusiasta per oltre un ventennio, lungo il quale la capacità di ideare, proporre e organizzare esplodeva coi ritmi tali che le forze dei collaboratori erano messe a dura prova, mentre l’ancestrale flemma degli spoletini veniva travolta dal lavoro dinamico e paziente di Luigi.

Gli anni che seguirono la nascita dell’Associazione videro i restauri, per citarne solo alcuni, dell’ambulacro di via dello Spagna, del Portico di via Loreto, della Fontana di Piazza del Mercato (la durata patologica dei lavori -non imputabile all’Associazione- ispirò una splendida incisione di Alberico Morena, “la fontana malata”), del campanile di San Gregorio Maggiore, della facciata di San Ponziano, del monumentale complesso di San Nicolò, della Chiesa della Madonna di Loreto, ora con il contributo degli enti spoletini, ora con quelli della Mobil Oil Italiana e della statunitense Kress Foundation, filtrati dalla mediazione illuminata di Isolina Barbiani e di Franca Pironti Lally, preziose ed entusiaste amiche di Spoleto.

Ma il capolavoro di Luigi Antonini - Presidente dell’Ente Rocca - fu l’opera connessa con la costruzione di un nuovo penitenziario, con il conseguente affrancamento del castello albornoziano dalla sua destinazione di casa di pena.

Non può revocarsi in dubbio che il Comune di Spoleto, la Prefettura di Perugia, i Ministeri romani operarono di concerto per la soluzione del problema, ma alla base dell’azione politico-amministrativa ci fu sempre l’opera personale, vigile e tempestiva, di Luigi Antonini e nell’ombra, sempre nell’ombra, il suo generoso concorso finanziario.

Queste verità non possono, non devono essere dimenticate.

E qui va citato il fatto, di cui fummo testimoni stupefatti ed increduli, che nel solenne rito del passaggio della Rocca spoletina da un dicastero all’altro, i discorsi ufficiali ignorarono proprio il nostro Luigi. Lui ne rise due volte - con indulgenza da gentiluomo- quando seppe che il suo nome era stato, invece, ricordato dal Direttore dell’Istituto di pena. Il Pr. Tedesco - attentissimo a tenere a mente, tra quelle mura estranee e ferrate, l’elenco esatto dei suoi ospiti abituali, si era dovuto accorgere, alla fine, che dalla conta insolita, fatta da eccellentissimi signori tra quella mura ormai redente a una Spoleto da allora più civile, mancava proprio colui che aveva mutato il sogno di quella redenzione in un fatto irreversibile.

Luigi Antonini andava dimostrando le sue doti eccezionali in ogni fase della sua azione in favore della nostra città, che egli, più di tutti noi, dimostrava di amare come sua.

I rapporti che egli intesseva da pari a pari, sul piano di una nobile amicizia personale, con i grand commis dello Stato, erano sempre mirati al bene di Spoleto e chi aveva la fortuna di assistere a certi incontri e colloqui scopriva che Luigi conquistava la solidarietà del suo interlocutore con la concretezza dei propositi, la schiettezza del carattere, lo spirito misurato dei suoi romanismi, la trasparenza dell’azione, la naturale affabilità dei modi.

Memorabili sono rimasti i dialoghi - preparatori di iniziative proficue e concrete - fra lui e Giovanni Polvani, un altro spoletino tornato in mezzo a noi per ritrovare la sua casa natale e il suo liceo, per respirare l’aria di Monteluco, per riscoprire il tramonto che accendeva di dorata malinconia i lecci millenari di Monteluco e le pietre della Rocca e dei borghi sottomessi, del Ponte che strappò a Goethe un grido di ammirazione, della Chiesa di San Pietro: lo stesso paesaggio che Luigi era tornato a vedere più a lungo e più spesso nel 1956 e parlava l’identico linguaggio a due spiriti eletti. L’intensa collaborazione, veramente “pro Spoleto”, tra Polvani e Antonini venne meno quando il primo, avuta la nomina a Rettore dell’Università di Milano, si trasferì nella capitale lombarda, dove le violenze della contestazione studentesca amareggiarono profondamente e forse abbreviarono la sua vita di umanista e di scienziato.

Alla sua morte, Luigi Antonini si fece promotore della costituzione della “Società di Cultura Giovanni Polvani”. Con la sua presidenza quadriennale, egli gettò le basi di un lavoro fecondo che altri avrebbero continuato - non senza minor prestigio - con incontri e convegni su problemi di attualità letteraria e politica.

Ma Luigi era attento anche ad un altro linguaggio: quello universale della musica. Nella sua mente lucida e razionale doveva essere chiaro il rapporto della musica con l’etica e riaffiorare l’idea pitagorica della identificazione tra il concetto di musica e quello di armonia, con tutte le sue implicazioni non solo matematiche e fisiche - ancorate, cioè, a materie che egli conosceva per naturale inclinazione e studi superiori - ma anche teologiche e religiose.

Forse qui é possibile intravedere un luogo tra i più riposti, ma non per questo meno illuminati, della sua anima e il segreto motivo che ispirò Luigi Antonini - già Presidente della Fondazione che perpetua il suo nome - nell’offrire ogni anno - con larga munificenza - una serie di concerti d’organo, strumento liturgico per eccellenza.

E la Spoleto estiva e turistica diveniva un uditorio attento e grato, non pago dei successi del Festival.

Ma il nostro grande amico non avrebbe mai finito di stupire.

Chi vi parla ebbe, nel 1972, il privilegio d’esser convocato, insieme con pochi altri amici, quasi senza preavviso, nella sua villa di Spoleto; e di ascoltare, poco dopo, l’annuncio coraggioso di voler costituire una fondazione che avrebbe portato - oltre al suo - il nome delle sorelle Francesca e Valentina.

è il coraggio, infatti, la virtù che manifesta colui che prepara per tempo i modi del suo distacco cristiano dalla vita terrena, vergando con mano ferma una scheda testamentaria o dettando, con voce altrettanto ferma, la volontà di donare la ricchezza capitale di famiglia, e con essa il patrimonio invisibile di quei valori perenni che l’hanno governata per generazioni.

Solo chi é consapevole di rappresentare una posizione eticamente superiore e vincente, proprio perché basata sul rifiuto delle armi della politica, dell’effimero, del compromesso, delle obliquità, delle divisioni ideologiche, può compiere un gesto di una generosità senza eguali, di una magnificenza principesca.

A ben guardare, la vita e l’opera di Luigi Antonini esprimono una linea continua di assoluta coerenza. Con esse e per esse, egli ha capitalizzato - con filiale e lungimirante sollecitudine - idee, risorse e persone per una madre terra forse prodiga fino all’eccesso, ma non certo ingrata, quando gli ha conferito, primo fra i primi, il riconoscimento della LEX SPOLEITNA e ha deciso di intitolargli la più grande delle sale che hanno ritrovato la loro dignità e il loro splendore originari nella Rocca albomoziana.

Egli ha voluto un processo di trasformazione dei servizi da lui prestati e dei beni di famiglia in strumenti creativi di nuove opportunità, affidati da circa venti anni alla Fondazione che oggi è retta dal nipote Enrico Corsetti Antonini, suo diletto figlio adottivo, perché l’opera continui.

Luigi Antonini è vissuto per Spoleto. D’ora innanzi, a tener desta la coscienza della nostra comunità civile, ci sarà quest’Uomo.

Quel faro che ieri testimoniava la sua presenza saltuaria tra noi, ha preso idealmente a vegliare sul destino di Spoleto, per sempre.

Filippo De Marchis

bottom of page